Ogni 3 maggio si celebra la Giornata Mondiale della Libertà di Stampa. Ma chi conosce davvero il funzionamento dell’informazione globale non può che vivere questa data con amarezza, se non con indignazione. Viviamo immersi in una narrazione confezionata dall’alto, dove le notizie vengono selezionate, filtrate e manipolate.
L’apparenza è quella della pluralità: tante testate, tanti canali, tanti punti di vista. Ma la realtà è ben diversa. La stragrande maggioranza dei media è concentrata nelle mani di pochi gruppi editoriali, spesso legati a grandi lobby finanziarie, industriali e geopolitiche, tra cui spicca – sì, è doveroso dirlo – la lobby sionista, potentissima nel determinare l’agenda e nel silenziare ogni voce critica nei confronti delle politiche israeliane, in particolare sul fronte della Palestina. Non è complottismo. È analisi del potere.
È sufficiente vedere come vengono trattate le crisi globali per accorgersi della doppia morale: in Ucraina, le vittime sono santificate, in Gaza sono statistiche senza volto. In Siria, si è costruito un racconto tossico, rimuovendo ogni contesto storico e geopolitico, criminalizzando chiunque provasse a spiegare la complessità. Le testate mainstream hanno trasformato il giornalismo in uno strumento di guerra ideologica. Osi criticare Israele? Sei accusato di antisemitismo.
Provi a raccontare le responsabilità dell’Occidente nei conflitti del Medio Oriente? Sei subito etichettato come “filo-dittatore” o “disinformatore”. Questa non è libertà di stampa. Questa è sorveglianza narrativa. I giganti dei media non informano: modellano il pensiero collettivo. Non promuovono il dibattito: lo indirizzano. E tutto ciò avviene con la complicità dei governi, delle piattaforme digitali e di una parte del giornalismo che ha abbandonato ogni residuo di autonomia per trasformarsi in megafono del potere.
E in Italia? La situazione non è diversa, anzi. Il nostro panorama mediatico è dominato da pochi grandi gruppi editoriali, spesso legati a interessi economici e politici trasversali. La Rai, servizio pubblico per definizione, è lottizzata da decenni dai partiti, mentre i principali quotidiani – da Repubblica al Corriere, da La Stampa al Messaggero – rispondono agli interessi dei rispettivi editori: banche, industriali o potentati locali. Il giornalismo indipendente è confinato in nicchie marginali o vive nella precarietà. I grandi opinionisti, nel frattempo, recitano copioni già scritti. L’autocensura è spesso più efficace della censura diretta: si impara presto cosa si può scrivere e cosa no, chi si può criticare e chi deve essere ossequiato. Il caso Assange, le guerre ignorate, Gaza ridotta a una “questione di equilibrio” tra aggressore e aggredito: tutto questo passa anche attraverso la nostra stampa, che ha smesso da tempo di essere un cane da guardia della democrazia. Oggi non celebriamo. Oggi denunciamo. Perché la libertà non è un hashtag. È una battaglia. E sta a noi combatterla.
di Raimondo Schiavone