Gentile Presidente del Consiglio, cara Giorgia,
abbiamo letto con grande stupore che ha bollato la spedizione della Global Sumud Flotilla come una “provocazione”. Davvero? E cosa avrebbe dovuto essere, dopo due anni di distruzioni sistematiche, di bombardamenti indiscriminati, di morte quotidiana inflitta a un popolo intrappolato in una prigione a cielo aperto? Parlare di “provocazione” rivela tutto il suo fastidio non per la strage – non mettiamo in dubbio il suo scoramento al riguardo –, ma per chi osa ricordare chi ne sia responsabile. Non la scandalizzano, forse, i bambini sepolti vivi sotto le macerie, gli ospedali rasi al suolo, la fame e la sete utilizzate come arma di guerra? Crediamo di sì. Eppure, ciò che la turba è che qualcuno, con poche barche cariche di viveri e medicinali, osi disturbare i massacratori.
Lei chiama “provocazione” quel “grido di libertà” che dice di difendere. Vorremmo dirlo con chiarezza: provocazione è il bombardamento sistematico dei civili; provocazione è ridurre alla fame due milioni di persone; provocazione è trasformare Gaza in un cimitero a cielo aperto; provocazione è esercitare terrorismo di Stato chiamandolo legittima difesa; provocazione è colpire indiscriminatamente donne e bambini e poi pretendere rispetto; provocazione è assaltare navi civili in acque internazionali, compiendo atti di pirateria che calpestano il diritto del mare e umiliano la coscienza del mondo. Dico provocazione ma intendo crimine, crimine orrendo.
Sa come mai la gente scende in piazza? Perché è schifata. Profondamente schifata. Di fronte a un massacro in diretta. Di fronte a una indicibile violenza fisica e verbale. Di fronte a una prepotenza senza limiti. Di fronte all’inerzia e, anzi, alla connivenza dei governi: il suo, quello europeo, quello statunitense. Tutti piegati, tutti pronti a calare le brache. Avete sacrificato il diritto alla convenienza, la giustizia all’alleanza, la vita umana alla paura di contraddire. E mentre voi giocate al piccolo realismo politico, la democrazia si svuota, la parola “pace” diventa retorica, la memoria si trasforma in scherno. È questo che disgusta: non solo la violenza di Israele; a schifare è la resa morale del vostro “Occidente” – non del nostro –, la complicità lucida di chi potrebbe fermare il massacro ma sceglie di coprirlo. La gente scende in piazza per gridare la vostra inadeguatezza.
Gentile Presidente, dovrebbe avere il coraggio di dire che non tutte le vite valgono allo stesso modo: perché questo è il messaggio che il suo governo trasmette, questa è la verità che s’impone dietro le vostre parole. E a poco vale il tentativo di trasformare la mobilitazione in dissenso politico. La mobilitazione è dissenso politico: lo è come non lo si vedeva da tempo. Ammiriamo l’attivazione di un canale umanitario, l’accoglienza di bambini malati e di studenti nelle nostre Università. Tuttavia, vi sfugge un particolare: quei bambini, quegli studenti sono le prime vittime di un governo che ha le mani sporche di sangue. Scambiare l’attivazione di un corridoio umanitario per una vittoria diplomatica è come confondere la carità con la giustizia: un gesto doveroso spacciato per grandezza. Ma nessun corridoio, per quanto necessario, potrà cancellare l’ingiustizia di un governo che fa della morte la propria lingua politica. E a poco vale far ricadere la colpa sui terroristi di Hamas. A bombardare i civili è, da 24 mesi, un governo che voi dite amico.
E allora sì, cara Presidente, la Flotilla è una provocazione. Ma non contro la pace, che ci auguriamo arrivi presto, e che sia giusta: che riconosca, cioè, ai palestinesi il proprio diritto alla terra. Una pace che nessuna azione umanitaria può realmente incrinare, se davvero la si vuole. È una provocazione contro la vostra ipocrisia, contro la complicità di chi resta alla finestra, contro la vigliaccheria di governi che non sanno difendere la vita, contro l’incapacità di guardare negli occhi i morti di Gaza, contro la scelta di salvaguardare alleanze e interessi anziché salvare corpi. È una provocazione che ci riguarda tutti, perché mostra lo specchio di ciò che siamo diventati: un’umanità che si abitua all’orrore, che accetta la selezione delle vite, che chiama pace il silenzio dei cimiteri. È la gerarchia del dolore che con il vostro silenzio accettate: la selezione, la divisione dei morti in due categorie, l’umiliazione della pietà. Ogni volta che tacete, confermate al mondo che la giustizia non è più universale ma di parte, che i diritti non appartengono a tutti ma solo a chi ha la forza di imporli. Noi ci credevamo, nell’articolo 2 della Costituzione. Speriamo di crederci ancora.
Gentile Presidente, tutto questo non è accettabile; e lei lo sa bene. Ascolti chi manifesta. Non alimenti la tensione con messaggi sprezzanti, elitari. Non parli solo a una parte. Se ci riesce, dato che ne ha la velleità, ci renda ancora orgogliosi di chiamarci italiani. Ma questa volta per davvero. Per ora, a farlo sono le piazze.
Il Libero Comitato NNN (Non in Nostro Nome)























