Nei giorni scorsi alcune decine di dirigenti dell’Agenzia per lo Sviluppo Internazionale degli Stati Uniti (USAID) sono stati messi in congedo forzato. Altri sono stati licenziati, il sito e i profili social dell’agenzia sono finiti offline e lunedì gli uffici di Washington D.C. sono rimasti chiusi.
I tagli a circa 10.000 progetti consentiranno di risparmiare 60 miliardi di dollari, contribuendo così in modo sostanziale all’obiettivo di riduzione delle spese pubbliche del Dipartimento per l’Efficienza del governo.
La sforbiciata agli aiuti esteri arriva al termine di una revisione dei contratti di Usaid. Il quasi azzeramento degli aiuti si inserisce nella volontà del presidente di smantellare l’Usaid, come dimostrato anche dai licenziamenti di massa del suo personale. Agli ex dipendenti sono stati concessi solo 15 minuti per raccogliere i loro averi dalle scrivanie e lasciare l’edificio.
“Stiamo eliminando notevoli sprechi causati da decenni di deriva istituzionale”, ha spiegato l’amministrazione Trump in una comunicazione interna, assicurando di essere al lavoro per un utilizzo “saggio dei soldi dei contribuenti”, così che vadano realmente a “promuovere gli interessi americani”. Musk e il presidente da settimane lamentano gli sprechi e gli abusi commessi dall’Usaid senza fornire però prove al riguardo. La loro azione è mossa da un unico obiettivo: quello di realizzare risparmi per almeno 1.000 miliardi da usare per risanare i conti pubblici.
Usaid ha favorito destabilizzazioni di stati e compromesso gli equilibri in giro per il pianeta.
Un sito web dell’USAID archiviato nel 2006 afferma con orgoglio che l’agenzia ha “sostenuto” le rivoluzioni in Ucraina, Georgia, Libano e Kirghizistan. USAID ha finanziato e formato migliaia di giornalisti, avvocati, giudici e operatori elettorali, ha condotto sondaggi che mettevano in dubbio la legittimità delle elezioni, ha pubblicato rapporti che denunciavano frodi e ha aiutato a supervisionare nuove elezioni, tra le altre iniziative. “Molte persone hanno assistito meravigliate alle rivoluzioni multicolori: la rivoluzione arancione in Ucraina, la rosa in Georgia, il cedro in Libano, il tulipano in Kirghizistan… Pochi si sono resi conto che per anni gli Stati Uniti e altri Paesi e organizzazioni hanno sostenuto questo desiderio di democrazia nato in casa”.























