“Abbiamo presentato il ricorso contro la decisione del presidente del Consiglio Regionale sardo, Piero
Comandini, di non portare alla discussione la nostra proposta di riforma della legge elettorale. Non ci
fermiamo. Continuiamo anche con questo strumento a sollecitare il superamento di una legge elettorale
vergognosa che produce un Consiglio regionale inadempiente, inconcludente e screditato per le modalità
stesse con le quali è eletto, e cioè con il massimo di scollegamento rispetto alle scelte di voto degli elettori.
Non rinunciamo a denunciare che praticamente, in Sardegna, ogni 5 anni c’è un golpe. Un golpe a norma di
legge che espropria i sardi dal loro diritto di scegliere realmente chi va a governare.
Mentre raccoglievamo quelle 8189 firme, informando, raccontando l’imbroglio, sensibilizzando, mai ho
pensato che un consiglio regionale costruito su una sopraffazione ed una pesantissima violazione
democratica, potesse avere l’onestà e la generosità di restituire alla Sardegna regole rispettose della
volontà e della sovranità popolare. Ma in realtà mi sarebbe occorso maggiore disincanto per pensare che il
Palazzo fosse così arroccato da respingere anche la discussine e da negare persino, a quegli 8.000 cittadini
sardi, un voto contrario. Questo no, questo va oltre. Questo è arrogante dispregio delle minoranze non
rappresentate che per esistere devono avvalersi di altri strumenti quali appunto le proposte di iniziativa
popolare. Questa è una risposta irricevibile equivalente a quella espressa con il noto “ I legislatori siamo
noi” che talvolta, declinato in maniera volgare , diventa persino maggiormente efficace.
In continuità con il respingimento delle 200.000 firme della legge Pratobello, il Consiglio Regionale Sardo
respinge di nuovo. Nè approva, né non approva, come sarebbe suo diritto, semplicemente respinge
mettendo in atto l’unico comportamento che non è nelle sue facoltà, perché la proposta di legge di
iniziativa popolare non è una graziosa concessione del principe, è un diritto riconosciuto nella Costituzione
italiana e nello Statuto sardo.
In Sardegna, a differenza delle altre regioni italiane, non c’è una legge che regoli la proposta di legge di
iniziativa popolare. Non c’è dal 2001 a dimostrazione della mediocrità e della carenza di sensibilità
democratica che ha caratterizzato la classe politica sarda di ogni colore degli ultimi 25 anni. Non esistono
dunque criteri che tolgano, al Presidente del Consiglio Regionale, la discrezionalità di decidere come si
possa e si debba esercitare il diritto del popolo sardo ad utilizzare la partecipazione popolare, e questo
vuoto ha consentito a Comandini di ricorrere al criterio più restrittivo. Poteva utilizzare la stessa
proporzione tra il numero di elettori e il numero di sottoscrittori che fissa le firme richieste per le proposte
di legge di iniziativa popolare a livello nazionale. E in quel caso a noi, in Sardegna, sarebbero state
sufficienti 1300 firme. Poteva utilizzare l’analogia con le altre regioni italiane, ad esempio 5000 firme in
Lombardia e Toscana su, rispettivamente, 10 milioni e quasi 4 milioni di abitanti. Invece no. Ne chiede
10.000, su una popolazione di 1 milione e mezzo di residenti e sulla base di una norma abrogata 25 anni fa.
Amplifica il danno di un vuoto normativo, di cui il Consiglio Regionale è l’unico responsabile,
apparecchiando, per chi vuole avvalersi di un diritto costituzionalmente tutelato, una corsa ad ostacoli che
finisce su un muro. E quindi 8.000 firme non vanno bene, 200.000 non vanno bene, solo una cosa va pare
andar bene: “Noi siamo noi e voi ….”
Noi però non siamo d’accordo che al danno si aggiunga la beffa. Non può essere che l’inadempienza loro
cancelli un diritto nostro. Noi crediamo che, soprattutto in una regione dove una legge elettorale di stampo
fascista, che esclude dalla rappresentanza consiliare larghissime porzioni di cittadini, finendo per
rappresentarne meno della metà, non si possa rinunciare facilmente all’ iniziativa popolare. Per ciò
abbiamo deciso di opporre ricorso. Perché è necessario utilizzare tutti i mezzi per tenere alta l’attenzione
sull’ emergenza democratica che investe questo paese. La prima udienza è fissata per il 26 maggio 2026”, afferma in una nota Lucia Chessa Presidente Rete SarDegna Iniziativa Popolare, proponente legge elettorale “Liberamus su Votu”






















