Il fascino degli antichi miti e il potere delle parole, tra visioni distopiche e memorie del Novecento, narrazioni evangeliche, divagazioni filosofiche e epopee marinare nella Stagione di Prosa e Danza 2025-2026 al Teatro “San Giuseppe” / Bocheteatro di Nuoro organizzata dal CeDAC / Circuito Multidisciplinare dello Spettacolo dal Vivo in Sardegna con la direzione artistica di Valeria Ciabattoni e con il patrocinio e il sostegno del MiC / Ministero della Cultura e della Regione Autonoma della Sardegna, e con il contributo della Fondazione di Sardegna. Sette titoli in cartellone da dicembre a aprile, con protagonisti del calibro di Ottavia Piccolo in “Matteotti / Anatomia di un fascismo” di Stefano Massini; Roberto Abbiati con “Il Vecchio e il Marlin”, dal libro di Ernest Hemingway, con regia di Claudio Morganti; Giovanni Carroni in “Sos Sinnos”, dal romanzo di Michelangelo Pira e Stefano Fresi in “Dioggene”, un ironico e surreale monologo scritto e diretto da Giacomo Battiato, su un attore in crisi. Sotto i riflettori anche Nina Pons nelle “Metamorfosi” di Ovidio nella versione di Andrea Baracco, con i tamburi giapponesi dei Munedaiko; il collettivo artistico Sotterraneo propone “Il fuoco era la cura” da “Fahrenheit 451” di Ray Bradbury, con Flavia Comi, Davide Fasano, Fabio Mascagni, Radu Murarasu e Cristiana Tramparulo, per la regia di Sara Bonaventura, Claudio Cirri e Daniele Villa mentre si ispira a “La Passione di Cristo” di Mel Gibson “The Man” di RBR Dance Company, con coreografie di Cristina Ledri e Cristiano Fagioli (sua anche la regia), un avvincente racconto per quadri «sulla storia di un uomo e del suo tormento, del suo sacrificio come manifestazione di amore infinito, eroico e tenace».
Una programmazione interessante e variegata che sposa l’impegno civile e la riflessione politica con la ricerca dell’identità e delle radici, il mistero della fede e la fragilità umana, per affrontare temi scottanti come la violenza di genere e il femminicidio, prefigurati nella folle passione di un dio per una ninfa nel poema di Ovidio, ma anche il dialogo con la natura nella sfida tra un vecchio pescatore la sua preda. Sulla falsariga del romanzo di Bradbury, il rogo dei libri simboleggia la fine della cultura e la distruzione del sapere ne“Il fuoco era la cura” e l’immagine di un ipotetico futuro in cui lo stato controlla la diffusione delle informazioni e ogni aspetto dell’esistenza dei cittadini rimanda al recente passato, con la cronaca di un delitto e l’avvento del regime in “Matteotti / Anatomia di un fascismo” di Stefano Massini (pluripremiato drammaturgo e scrittore, vincitore di cinque Tony Awards per la sua “Lehman Trilogy” e conduttore di Riserva Indiana) per un’analisi delle ideologie del Novecento e delle democrazie moderne. In “Sos Sinnos”, dall’omonimo romanzo dell’antropologo Michelangelo Pira, Giovanni Carroni porta in scena il legame con la lingua materna, il potere evocativo di segni e simboli che corrispondono alla parole pregnanti della civiltà agro-pastorale, insieme al ritratto di una Sardegna sospesa tra passato e futuro, mentre in “Dioggene” la vis comica di Stefano Fresi (Nastro d’Argento 2019 come miglior attore di commedia) mette a nudo le contraddizioni e le umanissime debolezze di un artista di successo, tal Nemesio Rea, che interpreta la sua “Historia de Oddi, Bifolcho” sulla Battaglia di Montaperti, poi litiga con la moglie e infine si ritrova in un bidone dell’immondizia, sulle orme del filosofo greco, lontano dalle luci della ribalta, a ragionare sul senso della vita.
Andrea Baracco – tra i più brillanti e apprezzati registi italiani – porta in scena le “Metamorfosi” di Ovidio, scegliendo tra i miti narrati nel celebre poema il racconto de “L’Origine”, dal caos primigenio alla nascita dell’uomo, la triste storia di “Apollo e Dafne” e il folle volo di “Fetonte” sul Carro del Sole; ne “Il Vecchio e il Marlin”, Roberto Abbiati presta corpo e voce al pescatore che ingaggia con una creatura marina un ultimo epico duello, in una versione inedita e intrigante de “Il vecchio e il mare” di Ernest Hemingway, con la regia di Claudio Morganti e le musiche di Johannes Schlosser, tra note stranianti e clownesche, in chiave ironica, surreale e poetica.
Sul palco nuorese approda anche “The Man” di RBR Dance Company, un affascinante spettacolo ispirato al film di Mel Gibson sugli ultimi giorni della vita terrena di Gesù di Nazareth, che ripercorre i momenti più significativi della «della storia più vibrante e intensa conosciuta al mondo quale esempio di dedizione assoluta e segno di speranza».
Focus sulla drammaturgia contemporanea e sulla danza d’autore per una Stagione nel segno delle passioni e delle emozioni, tra molteplici spunti di riflessione sulle questioni cruciali del presente, dalla politica alla cronaca, dal rispetto dei diritti civili e la tutela dell’ambiente ai fondamenti reali e simbolici dell’identità nell’era della globalizzazione.
IL CARTELLONE
Il sipario si apre – giovedì 11 dicembre alle 20.30 – su “Sos Sinnos”, uno spettacolo di e con Giovanni Carroni (che firma drammaturgia e regia), tratto dall’omonimo romanzo di Michelangelo Pira, con la partecipazione del Tenore di Bitti “Mialinu Pira” e le musiche in scena di Mauro Mibelli – produzione Bocheteatro. Una pièce intrigante, che mette a confronto la realtà di un piccolo paese della Barbagia, nel cuore dell’Isola, e le atmosfere cittadine, attraverso lo sguardo disincantato dell’antropologo, giornalista e scrittore ma anche quello ammaliato di un fanciullo alla scoperta del mondo e del significato – astratto e concreto – delle parole. «“Sos Sinnos” rimane il tentativo più importante di usare la lingua sarda, nella varietà bittese, per un’opera di respiro mondiale» – sottolinea Giovanni Carroni –. «Su Tempus de su Parpu e de s’Arrastu (Il tempo del tasto e del fiuto), segna il passaggio dall’immateriale alla natura e all’incarnazione nell’umano; i versi inarticolati si fanno parola e quindi scrittura, quasi geroglifica, che solo Su Deinu (L’indovino), sa interpretare. Poi si entra nell’universo de sos contos (i racconti) di Bitti, paese natale dell’intellettuale e scrittore: il mondo pastorale in Mialianu (Emiliano) assume una forte carica simbolica, che conduce all’iperrealismo de Sa Cramata de sos Mortos (La chiamata dei morti)». Infine – conclude Giovanni Carroni – «nell’ultima parte, più scopertamente, l’autore stesso si fa personaggio del mondo che racconta, e in una progressione visionaria chiama l’umanità perduta del proprio villaggio e del mondo intero a tornare a sa Libra, malgrado sia una “crastazza”, una pietraia buona solo per le capre», che però rappresenta « il luogo simbolico di una perduta pienezza dell’umano».
Un gioco di specchi fra vita e arte – sabato 17 gennaio alle 20.30 – con “Dioggene”, uno spettacolo scritto e diretto da Giacomo Battiato e interpretato da Stefano Fresi, con musiche di Germano Mazzocchetti, costumi di Valentina Monticelli, disegno luci di Marco Palmieri, allestimento scenico Pier Paolo Bisleri, scultore Oscar Aciar, decoratore Bartolomeo Gobbo, foto Chiara Calabrò, produzione Teatro Stabile d’Abruzzo – Stefano Francioni Produzioni – Argot Produzioni. Un monologo in tre atti, che mette in risalto il talento istrionico dell’artista romano di origine sarda, nel ruolo di Nemesio Rea, un attore di successo che in “Historia de Oddi, Bifolco” dà voce a un contadino toscano reduce dalla Battaglia di Montaperti, mentre ne “L’Attore e il buon Dio”, in procinto di entrare in scena, parla di un feroce litigio con la moglie, e infine, nel terzo quadro, “Er Cane de via der Fosso d’a Maijana” abita in un bidone della spazzatura, dopo aver rinunciato a tutto, sull’esempio dell’antico filosofo, e riflette sul senso della vita. “Dioggene” racconta la storia di un attore famoso, amato e apprezzato dal pubblico, che a un certo punto, dopo la crisi del suo matrimonio, intraprende un percorso di ricerca personale, mettendo da parte le antiche ambizioni e diventando un modello di austerità e saggezza. Una vicenda paradossale, in cui Stefano Fresi (Nastro d’Argento come miglior attore di commedia nel 2019 per “C’è tempo”, “L’uomo che comprò la Luna” e “Ma cosa ci dice il cervello”) presta volto e voce ad un moderno antieroe che nell’era del consumismo si priva del superfluo e sceglie la semplicità.
Cronaca di un delitto – domenica 8 febbraio alle 20.30 – con “Matteotti – Anatomia di un fascismo” di Stefano Massini, con Ottavia Piccolo e I Solisti dell’Orchestra Multietnica di Arezzo, musiche di Enrico Fink, video di Raffaella Rivi, scenografia di Federico Pian, disegno luci di Paolo Pollo Rodighiero, costumi a cura di Lauretta Salvagnin (il vestito di Ottavia Piccolo è realizzato da La Sartoria – Castelmonte onlus), per la regia di Sandra Mangini – produzione Argot Produzioni e Officine della Cultura, in coproduzione con Città del Teatro / Fondazione Sipario Toscana Onlus, Solares / Fondazione delle Arti – Teatro delle Briciole e TSU / Teatro Stabile dell’Umbria. Un ritratto di Giacomo Matteotti, il deputato socialista che di fronte agli atti intimidatori e all’escalation di violenza scelse di denunciare pubblicamente in parlamento «la manovra politica con cui si è spacciata l’eversione più radicale camuffandola nel suo esatto opposto, ovverosia nella garanzia dell’ordine». In un discorso lucido e appassionato, mise in luce l’illegalità di un governo fondato su irregolarità e abusi, consapevole della gravità del momento ma anche delle conseguenze di una sfida contro avversari temerari e senza scrupoli; pochi giorni dopo, il suo rapimento e il brutale assassinio, per far tacere una delle ultime voci del dissenso. “Matteotti – Anatomia di un fascismo” ripercorre «l’ascesa e l’affermazione di quel fenomeno eversivo che il deputato seppe comprendere, fin dall’inizio, in tutta la sua estrema gravità, a differenza di molti che non videro o non vollero vedere: il pericolo più grande, la malattia che fa morire un uomo è quella che non senti crescere».
Tra presente e futuro – giovedì 19 febbraio alle 20.30 – con “Il fuoco era la cura”, una creazione di Sotterraneo, liberamente ispirata a “Fahrenheit 451” di Ray Bradbury, con ideazione e regia di Sara Bonaventura, Claudio Cirri e Daniele Villa, scrittura di Daniele Villa, disegno luci di Marco Santambrogio, abiti di scena di Ettore Lombardi, sound design di Simone Arganini, coreografie di Giulio Santolini e oggetti di scena di Eva Sgrò, produzione Teatro Metastasio di Prato, Sotterraneo, Piccolo Teatro di Milano / Teatro d’Europa, Emilia Romagna Teatro ERT / Teatro Nazionale, con il sostegno di Centrale Fies / Passo Nord. Sotto i riflettori Flavia Comi, Davide Fasano, Fabio Mascagni, Radu Murarasu e Cristiana Tramparulo prestano volto e voce ai personaggi, in un gioco di specchi tra finzione e realtà, tra il mondo distopico descritto nel romanzo, ambientato negli Anni Venti del XXI secolo, con i roghi dei libri e l’implacabile “milizia del fuoco” e le «cronache di un tempo intermedio» fra l’epoca odierna e un ipotetico, prossimo futuro dove non sono ammesse la cultura e la libertà di pensiero. Una pièce coinvolgente che intreccia differenti piani narrativi, densa di citazioni e rimandi tra letteratura e teatro, per una riflessione sulla società contemporanea, nell’era dei social media e delle fake news, dove impera la (dis)informazione e diventa sempre più difficile distinguere tra realtà virtuale e vita reale. “Il fuoco era la cura” smentisce e in un certo senso invera la “profezia” di Bradbury (dato che i libri esistono ancora, ma tecniche di “distrazione di massa” rafforzano le élites al potere), con un implicito invito a prendere coscienza di quel che accade e ribellarsi contro l’indifferenza, rivendicando il diritto (e dovere) di influenzare le scelte dei governi e esprimere il proprio dissenso.
Un avvincente racconto per quadri – lunedì 2 marzo alle 20.30 – con “The Man”, uno spettacolo liberamente ispirato a “La Passione di Cristo” di Mel Gibson, con coreografie di Cristina Ledri e Cristiano Fagioli (che firma anche la regia), con sette danzatori in scena e la voce narrante di Paolo Valerio, scenografia video di Gianluca Magnoni, disegno luci di Cristiano Fagioli e costumi di Cristina Ledri, musiche di autori vari, produzione RBR Dance Company / gli Illusionisti della Danza. Un’opera multimediale, che sulla falsariga del pluripremiato (e controverso) film, racconta «la storia di un uomo e del suo tormento, del suo sacrificio come manifestazione di amore infinito, eroico e tenace»: le suggestive geometrie di corpi in movimento evocano ed amplificano le emozioni, mettono in risalto il pathos di una vicenda densa di significati simbolici e riferimenti culturali. “The Man” narra gli ultimi giorni della vita terrena di Gesù di Nazareth, restituendo i momenti più drammatici e cruciali e trasportando sulla scena il profondo significato, religioso ed umano, del messaggio evangelico di fratellanza, per «una riflessione sull’eterna lotta tra bene e male e sull’immenso potere dell’amore e del perdono». Ne “La Passione di Cristo”, Mel Gibson intreccia il racconto dei Vangeli alle visioni di Anna Katharina Emmerick, una mistica tedesca vissuta tra il 1774 e il 1824, autrice de “La dolorosa passione del Nostro Signore Gesù Cristo”, attingendo anche alla “Mistica Città di Dio” di María di Ágreda ed al “Poema dell’Uomo Dio” di Maria Valtorta. “The Man” rievoca una storia emblematica, non solo la cronaca di un martirio, che evidenzia la crudeltà di carnefici e aguzzini, ma anche una potente testimonianza di fede, attraverso la generosità di un sacrificio e la speranza di una resurrezione (o redenzione) finale.
Una moderna epopea – giovedì 12 marzo alle 20.30 con “Il Vecchio e il Marlin”, uno spettacolo di Roberto Abbiati, Claudio Morganti e Johannes Schlosser, dal celebre romanzo di Ernest Hemingway, con traduzione e drammaturgia di Roberto Abbiati, anche protagonista sulla scena accanto al musicista Johannes Schlosser, per la regia di Claudio Morganti – produzione Gli Incamminati / Centro di Produzione Teatrale e BAM Teatro. Una pièce immaginifica ed emozionante basata sulle avventure marinaresche e sulla lotta tra uomo e natura: «un vecchio marlin e un vecchio pescatore s’incontrano al largo dell’oceano: non si conoscevano, non si erano mai incontrati prima», e così si studiano a vicenda, il pesce si chiede come ragioni il pescatore, l’uomo come pensi il marlin, e «già questo fa sorridere, un pesce che cerca di capire cosa sta pensando il pescatore». Una trama già nota, reinterpretata in chiave onirica e poetica, dove preda e predatore, per natura avversari, fanno entrambi parte del grande gioco della vita e rappresentano quindi l’uno l’immagine speculare dell’altro, in un contesto in cui si impara e rispettare il proprio nemico, almeno nell’età della saggezza. “Il Vecchio e il Marlin” è un avvincente racconto fatto di parole, suoni e visioni dove l’uomo e il pesce «come in un romanzo d’avventura decidono d’esser epici, e si danno battaglia con un gran sciabordio d’acqua e sussulti d’onda, ma lo fanno mettendosi d’accordo, per far bella figura tutt’e due. Così saranno per sempre un grande marlin e un nobile pescatore». In scena «la storia di un piccolo uomo che mette in gioco la sua vita nel tentativo di catturare un grande pesce» – sottolinea Claudio Morganti –. E «il pesce, a tratti, fa sentire la sua voce. E’ la voce del mondo che rimbomba nelle nostre teste, quella che preferiamo non ascoltare».
Il fascino degli antichi miti – martedì 21 aprile alle 20.30 – con “Metamorfosi”, dal celebre poema di Ovidio, con la voce recitante di Nina Pons, in scena con i performers e musicisti Mugen Yahiro, Naomitsu Yahiro e Tokinari Yahiro, in uno spettacolo avvincente e ipnotico scandito dalle metriche incalzanti dei tamburi giapponesi dei Munedaiko, con adattamento e regia di Andrea Baracco (produzione Cardellino srl). “Le Metamorfosi” di Publio Ovidio Nasone offrono una «grandiosa rappresentazione del carattere instabile, precario e illusorio della realtà» – come sottolinea il regista Andrea Baracco – e l’idea stessa dell’umano «trova la sua essenza più profonda e specifica nell’ambiguo, nel non risolto, nell’ibrido, in definitiva nella complessità», in un vivido affresco della natura, senza (pre)giudizi, quindi al di là del bene e del male. Si parte da “L’Origine”, in cui si descrive il Caos primigenio e la nascita del cosmo, con la separazione tra cielo e terra e la comparsa degli esseri viventi, tra cui, per ultimo, l’Uomo, «“l’unico che ha lo sguardo rivolto al cielo e non alla terra». Nel mito di “Apollo e Dafne”, il dio invaghitosi della bella ninfa non si rassegna al rifiuto e la insegue, finché la raggiunge e la stringe, ormai mutata in alloro, in un abbraccio feroce, in una favola triste sulla potenza dell’eros che si traduce in distruttiva follia e violenza brutale. Infine la storia di “Fetonte”, che alla guida del carro del Sole, suo padre, si slancia nel cielo in una folle corsa, finché a causa della sua temerarietà e della sua giovanile irruenza, «precipita come una stella cadente e muore».























