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Lanusei: stagione di Prosa, Musica, Danza e Circo Contemporaneo 2025-2026

31 Ottobre 2025
in Cultura
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Lanusei: stagione di Prosa, Musica, Danza e Circo Contemporaneo 2025-2026
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Viaggio nella Storia con il ritratto di un’imperatrice e l’avvento del fascismo, oltre alle intuizioni di un imprenditore visionario, che si intrecciano al racconto delle emozioni tra commedia e dramma, mito e poesia con la Stagione di Prosa | Musica  | Danza & Circo Contemporaneo 2025-2026 organizzata dal CeDAC / Circuito Multidisciplinare dello Spettacolo dal Vivo in Sardegna al Teatro “Tonio Dei” di Lanusei con la direzione artistica di Valeria Ciabattoni e con il patrocinio ed il sostegno del MiC / Ministero della Cultura e della Regione Autonoma della Sardegna, con il patrocinio del Comune di Lanusei e il sostegno dell’Unione dei Comuni d’Ogliastra, e con il contributo della Fondazione di Sardegna.

Maria Tegas, Vice Sindaca di Lanusei con delega alla Cultura, confermando l’adesione al Circuito da parte del Comune, sostiene: «L’Amministrazione Comunale, consapevole che la rassegna organizzata da CeDAC sia un evento culturale importante, ha deciso di investire ulteriormente in cultura, incrementando il budget e consentendo di arricchire il Cartellone sia per numero di spettacoli che per varietà della proposta multidisciplinare. Ci aspettiamo l’adesione di un pubblico sempre più folto».

Dodici titoli in cartellone da novembre ad aprile, con protagoniste del calibro di Ottavia Piccolo, in “Matteotti / Anatomia di un fascismo” di Stefano Massini, Federica Luna Vincenti nel ruolo di “Sissi l’Imperatrice” con testo e regia di Roberto Cavosi e Maria Grazia Cucinotta con Pino Quartullo, Gianmarco Pozzoli ed Alessandra Faiella ne “La Moglie Fantasma” di David Tristram; e ancora Stefano Fresi in “Dioggene”, surreale e ironico monologo di Giacomo Battiato e Roberto Abbiati ne “Il vecchio e il Marlin” dal racconto di Ernest Hemingway, con la regia di Claudio Morganti, Serena Balivo (Premio Ubu 2017) ne “La morte ovvero il pranzo della domenica”, con drammaturgia e regia di Mariano Dammacco e Nina Pons in “Metamorfosi” da Ovidio con regia di Andrea Baracco e i tamburi giapponesi dei Munedaiko.

Inaugurazione con Antonio Cornacchione con “D.E.O. ex Macchina” sul primo Centro di Ricerca Elettronica voluto da Adriano Olivetti negli Anni Cinquanta, quando l’industria italiana era all’avanguardia nelle nuove tecnologie e nell’informatica; Maurizio Giordo firma drammaturgia e regia di “Ribelle / Storie di una notte cambiata”, uno spettacolo dedicato a Michela Murgia e liberamente ispirato alle “Storie della buonanotte per bambine ribelli” di Francesca Cavallo ed Elena Favilli (da un’idea di Paola Zoroddu); la favola nera di una bambola meccanica in “Coppelia – un ballet mécanique”, e una pièce di nouveau cirque ideata e diretta da Caterina Mochi Sismondi per blucinQue per una riflessione sull’identità, sul gioco delle maschere e sul ruolo delle donne nella società. La misura dello scorrere del tempo in “Adeus” della Compagnia Oltrenotte, uno «spettacolo coreografico di equilibrismi, contorsionismi e musica dal vivo» di e con Lupa Maimone, Vinka Delgado, Simona Ceccobelli, Ayelén Tejedor ed Elisa Zedda su cinque giovani donne che sognano di invecchiare e un avvincente racconto per quadri con il “Sogno di una notte di mezza estate” di COB / Compagnia Opus Ballet, dalla commedia shakespeariana, con coreografie di Davide Bombana e musiche di Felix Mendelssohn e Jóhann Jóhannsson, tra le vicende dei giovani innamorati e la lotta feroce di Oberon e Titania, sovrani delle fate.

Una programmazione ricca e interessante, che spazia tra prosa e poesia, musica, danza e nouveau cirque, con una pièce di teatro civile come “Matteotti / Anatomia di un fascismo” di Stefano Massini e un originale monologo su una stagione felice per l’imprenditoria italiana come “D.E.O. ex Macchina”, ovvero la “storia di un impiegato” con la cifra ironica e surreale di Antonio Cornacchione; il fascino e il mistero di “Sissi l’Imperatrice” di Roberto Cavosi, per un ritratto inedito di Elisabetta di Baviera, “imprigionata” tra le rigide regole della corte austriaca, ma sensibile alle ingiustizie, contraria alla guerra, amante della bellezza e della poesia, e una scoppiettante commedia “nera” come “La Moglie Fantasma” di David Tristram, con Maria Grazia Cucinotta, incentrata su un misterioso delitto dove, tra echi shakespeariani e atmosfere alla Agatha Christie, la vittima, una prima attrice morta al termine di una trionfale tournée, riappare per chiedere vendetta.

Focus su questioni attuali – come la condizione femminile, centrale in “Coppelia – un ballet mécanique” di blucinQue, moderna rilettura del celebre balletto, su musiche di Léo Delibes con “variazioni” elettroniche” di Beatrice Zanin e soprattutto in “Ribelle / Storie di una notte cambiata”, che trae spunto dalle “Storie della buonanotte per bambine ribelli”, per una narrazione corale dove accanto alle figure di artiste e scienziate, coraggiose e determinate, affiorano i ricordi personali delle protagoniste, in una riscoperta della propria dignità e libertà. E una riflessione sul ruolo delle donne nella società affiora anche in “Sissi l’Imperatrice”, in cui la protagonista, interpretata da Federica Luna Vincenti, insofferente agli obblighi del suo rango, che soffocano gli slanci di uno spirito inquieto, suscita “scandalo” con i suoi comportamenti stravaganti, mentre nelle “Metamorfosi” di Ovidio portate in scena da Andrea Baracco emerge, tra gli antichi miti, il “raptus” di Apollo invaghito di Dafne, che riporta all’attenzione la matrice culturale della violenza di genere e del femminicidio.

Una moderna epopea, nell’avventura marinara de “Il vecchio e il Marlin” con Roberto Abbiati diretto da Claudio Morganti, in cui il duello tra l’uomo e il pesce assume una valenza metaforica, e suona anche indirettamente come un invito al rispetto della natura mentre “Dioggene”, scritto e diretto da Giacomo Battiato, con un istrionico Stefano Fresi racconta la crisi esistenziale di un attore di successo, tal Nemesio Rea, che interpreta la “Historia de Oddi, bifolcho” ma, dopo una furibonda lite con la moglie, si ritrova in un bidone dell’immondizia a meditare sul senso della vita. “La morte ovvero il pranzo della domenica” di Mariano Dammacco, con un’intensa Serena Balivo, affronta alcuni dei tabù della civiltà contemporanea, come la vecchiaia e il dolore della perdita, attraverso la storia di una donna non più giovane e dei suoi anziani genitori, in un racconto struggente, delicato e poetico, mentre “Adeus” di Oltrenotte infrange gli stereotipi sulla bellezza e il mito dell’eterna giovinezza, tra note ironiche e surreali, con la storia di cinque donne che sognano di invecchiare… Infine l’amore – il sentimento più universale – è il perno attorno a cui ruotano i personaggi del “Sogno di una notte di mezza estate” di COB / Compagnia Opus Ballet, che il coreografo Davide Bombana proietta in «un’atmosfera quasi beckettiana» tra la passione, le fughe e gli inseguimenti dei giovani innamorati e lo scontro fra Oberon e Titania, «re e regina del mondo dell’allucinazione che sconvolgono nella loro furia l’equilibrio del pianeta».

La musica è un segreto fil rouge che lega idealmente (quasi) tutti gli spettacoli, dagli intrecci di parole e note di “Matteotti / Anatomia di un fascismo” con Ottavia Piccolo e I Solisti dell’Orchestra Multietnica di Arezzo alle “Metamorfosi” con la voce narrante di Nina Pons e i tamburi dei Munedaiko, dalla partitura di Léo Delibes, con “interferenze” elettroniche di Beatrice Zanin, in “Coppelia / Un ballet mécanique”, alle pagine di Felix Mendelssohn e Jóhann Jóhannsson per il “Sogno di una notte di mezza estate”, dalla colonna sonora e il canto di “Adeus” e “Ribelle” alle musiche di scena che arricchiscono le varie pièces, scandendo il ritmo dei pensieri e sottolineando l’intensità delle emozioni.

IL CARTELLONE

Il sipario si apre – venerdì 21 novembre alle 21 – su “D.E.O. ex Macchina / Olivetti, un’occasione scippata” di e con l’attore e comico Antonio Cornacchione, che racconta un’epoca in cui l’industria italiana era all’avanguardia in settori come l’informatica e la chimica, grazie ad imprenditori illuminati come Adriano Olivetti. Un affresco del Belpaese negli Anni Cinquanta, in pieno boom economico, tra sogni e speranze di rinascita: “D.E.O. ex Macchina”, originale e coinvolgente monologo scritto ed interpretato da Antonio Cornacchione, con la collaborazione ai testi di Massimo Cirri e scenografia e video-mapping a cura di Alessandro Nidi, per la regia di Giampiero Solari (produzione Amicor Sas) parla della nascita del Centro di Ricerca Elettronica a Barbaricina, vicino a Pisa, dove sotto la guida dell’ingegner Mario Tchou avrebbero visto la luce il calcolatore Elea 9001 e «il primo calcolatore da tavolo al mondo, la P101 chiamata affettuosamente Perottina dal nome del suo inventore Pier Giorgio Perotto». Volto noto del piccolo schermo, dalle apparizioni al Maurizio Costanzo Show a Zelig Off, Crozza Italia e Che tempo che fa, Antonio Cornacchione, già sceneggiatore di fumetti, dà prova di uno spiccato talento per la comicità e la satira allo Zelig di Milano, per approdare in tv e al cinema e finalmente in teatro, in “Tel chi el telùn” con Aldo, Giovanni e Giacomo ed il “Circo di Paolo Rossi”, fino alle commedie “Ieri è un altro giorno” di Silvain Meyniac e Jean François Cros, e “Basta Poco”, e porta ora in scena le sue “memorie di un impiegato” in “D.E.O. ex Macchina”.

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Una moderna favola nera, tra sogno e realtà – martedì 16 dicembre alle 21 – con l’affascinante “Coppelia / Un ballet mécanique” con ideazione, coreografia e regia di Caterina Mochi Sismondi sulle musiche di Léo Delibes, rielaborate e eseguite dal vivo da Beatrice Zanin con “interferenze” di elettronica e violoncello, con disegno luci di Massimo Vesco (produzione Centro Nazionale di Produzione blucinQue Nice, in collaborazione con Fondazione Cirko Vertigo). Arti circensi e danza s’intrecciano nello spettacolo ispirato a “Coppélia, ou La fille aux yeux d’émail” (Coppélia, o La ragazza dagli occhi di smalto), il celebre balletto tratto da “Der Sandmann” (L’uomo della sabbia), un racconto di Ernst Theodor Amadeus Hoffmann in cui appare una splendida bambola, una creatura artificiale capace di sedurre gli uomini, pericolosa e “innocente” femme fatale. Sul palco Elisa Mutto, Michelangelo Merlanti, Vladimir Ježić, Carlos Rodrigo Parra Zavala, Simone Menichini, Jonnathan Lemos Rigging e Michelangelo Merlanti interpretano i protagonisti di un visionario racconto per quadri dove Caterina Mochi Sismondi affronta «il tema dell’identità», celata dietro «la maschera che ciascuno di noi indossa» e traccia il ritratto sfaccettato di «una donna vista nella sua fragilità, ma anche nella sua forza, grazie ai differenti ruoli che è in grado di rivestire». Nella sua “Coppelia”, la coreografa trae spunto anche dal “Ballet Mécanique” di Fernand Léger, un’opera del primo cinema cubista su musiche di George Antheil, per costruire una rigorosa partitura di corpi e oggetti in movimento, in chiave onirica e poetica.

Una storia surreale – sabato 10 gennaio alle 21 – con “Adeus”, una creazione di e con Simona Ceccobelli, Vinka Delgado, Lupa Maimone, Ayelen Tejedor ed Elisa Zedda, con la collaborazione artistica di Florent Bergal, disegno luci di Riccardo Serra (produzione Oltrenotte, in collaborazione con La Vispera, in co-produzione con Antic Teatre Barcelona). Una pièce di danza contemporanea per un’indagine sull’immaginario femminile: cinque giovani donne si confrontano con l’idea della vecchiaia, si lasciano ammaliare dal carisma e dalla libertà di chi non teme più il giudizio altrui, mettendo in discussione gli stereotipi culturali e i canoni estetici, la paura del trascorrere del tempo e il mito dell’eterna giovinezza. “Adeus” è un’opera multidisciplinare, uno «spettacolo coreografico di equilibrismi, contorsionismi e musica dal vivo» in cui si intrecciano danza e teatro, con una cifra visionaria che supera i sottili confini tra realtà e sogno e propone il “paradosso” di una bellezza fuori dagli schemi, dove personalità e temperamento, intelligenza e talento costituiscono gli ingredienti per vivere secondo le proprie inclinazioni e i propri desideri. In un emozionante e sorprendente racconto per quadri le protagoniste “giocano” a sovvertire i parametri, a proiettarsi in un ipotetico futuro o assomigliare alle proprie antenate, dissimulando la loro età per immergersi insieme agli spettatori in una dimensione fantastica, dove tutto può accadere e tutto muta, in un susseguirsi di scene comiche e perturbanti, tra ironia e meraviglia.

Un gioco di specchi fra vita e arte – venerdì 16 gennaio alle 21 – con “Dioggene”, uno spettacolo scritto e diretto da Giacomo Battiato e interpretato da Stefano Fresi, con musiche di Germano Mazzocchetti, costumi di Valentina Monticelli, disegno luci di Marco Palmieri, allestimento scenico Pier Paolo Bisleri, scultore Oscar Aciar, decoratore Bartolomeo Gobbo, foto Chiara Calabrò, produzione Teatro Stabile d’Abruzzo – Stefano Francioni Produzioni – Argot Produzioni. Un monologo in tre atti, che mette in risalto il talento istrionico dell’artista romano di origine sarda, nel ruolo di Nemesio Rea, un attore di successo che in “Historia de Oddi, Bifolco” dà voce a un contadino toscano reduce dalla Battaglia di Montaperti, mentre ne “L’Attore e il buon Dio”, in procinto di entrare in scena, parla di un feroce litigio con la moglie, e infine, nel terzo quadro, “Er Cane de via der Fosso d’a Maijana” abita in un bidone della spazzatura, dopo aver rinunciato a tutto, sull’esempio dell’antico filosofo, e riflette sul senso della vita. “Dioggene” racconta la storia di un attore famoso, amato e apprezzato dal pubblico, che a un certo punto, dopo la crisi del suo matrimonio, intraprende un percorso di ricerca personale, mettendo da parte le antiche ambizioni e diventando un modello di austerità e saggezza. Una vicenda paradossale, in cui Stefano Fresi (Nastro d’Argento come miglior attore di commedia nel 2019 per “C’è tempo”, “L’uomo che comprò la Luna” e “Ma cosa ci dice il cervello”) presta volto e voce ad un moderno antieroe che nell’era del consumismo si priva del superfluo e sceglie la semplicità.

Il fascino e il mistero di un’aristocratica anticonformista – sabato 24 gennaio alle 21 – con “Sissi l’Imperatrice”, con testo e regia di Roberto Cavosi, con Federica Luna Vincenti e con (in o. a.) Milutin Dapcevic, Ira Nohemi Fronten, Claudia A. Marsicano e Miana Merisi, costumi di Paola Marchesin, disegno luci di Gerardo Buzzanca, musiche di OraGravity, produzione Goldenart Production, in coproduzione con Teatro Stabile di Bolzano e Teatro Stabile del Friuli Venezia Giulia. Una pièce originale, ispirata all’inquieta e tormentata esistenza della principessa austriaca, figlia del duca Massimiliano Giuseppe in Baviera e di Ludovica di Baviera e sposa dell’imperatore Francesco Giuseppe d’Asburgo-Lorena, creatura sensibile, amante della bellezza e della poesia, insofferente alle regole della corte viennese, spesso in contrasto con la suocera, l’arciduchessa Sofia, sempre attenta a rammentarle i doveri e le responsabilità del suo rango. “Sissi l’Imperatrice” propone un ritratto della sovrana, affascinante e ribelle, un’anima gentile “chiusa in gabbia” che anelava alla libertà, in fuga dalla solitudine e dagli obblighi dell’etichetta, vittima di tragedie familiari come la morte del cugino Ludwig di Baviera e soprattutto il suicidio del figlio Rodolfo. Elisabetta di Baviera, meglio nota come Sissi, «in eterno lutto per le morti assurde di due dei suoi figli, sviluppa una sensibilità dolente e rabbiosa al tempo stesso ma tutt’altro che astratta, rivolta infatti anche verso le più delicate questioni sociali: dalle sofferenze delle minoranze etniche, ai soprusi subiti dal proletariato».

Cronaca di un delitto – sabato 7 febbraio alle 21 – con “Matteotti – Anatomia di un fascismo” di Stefano Massini, con Ottavia Piccolo e I Solisti dell’Orchestra Multietnica di Arezzo, musiche di Enrico Fink, video di Raffaella Rivi, scenografia di Federico Pian, disegno luci di Paolo Pollo Rodighiero, costumi a cura di Lauretta Salvagnin (il vestito di Ottavia Piccolo è realizzato da La Sartoria – Castelmonte onlus), per la regia di Sandra Mangini – produzione Argot Produzioni e Officine della Cultura, in coproduzione con Città del Teatro / Fondazione Sipario Toscana Onlus, Solares / Fondazione delle Arti – Teatro delle Briciole e TSU / Teatro Stabile dell’Umbria. Un ritratto di Giacomo Matteotti, il deputato socialista che di fronte agli atti intimidatori e all’escalation di violenza scelse di denunciare pubblicamente in parlamento «la manovra politica con cui si è spacciata l’eversione più radicale camuffandola nel suo esatto opposto, ovverosia nella garanzia dell’ordine». In un discorso lucido e appassionato, mise in luce l’illegalità di un governo fondato su irregolarità e abusi, consapevole della gravità del momento ma anche delle conseguenze di una sfida contro avversari temerari e senza scrupoli; pochi giorni dopo, il suo rapimento e il brutale assassinio, per far tacere una delle ultime voci del dissenso. “Matteotti – Anatomia di un fascismo” ripercorre «l’ascesa e l’affermazione di quel fenomeno eversivo che il deputato seppe comprendere, fin dall’inizio, in tutta la sua estrema gravità, a differenza di molti che non videro o non vollero vedere: il pericolo più grande, la malattia che fa morire un uomo è quella che non senti crescere».

Un giallo “dietro le quinte” – domenica 22 febbraio alle 21 – con “La moglie fantasma” di David Tristram con Maria Grazia Cucinotta e Pino Quartullo, accanto a Gianmarco Pozzoli, e con Giorgio Verduci e Roberta Petrozzi e la partecipazione di Alessandra Faiella, con scenografie di Lucio Diana, costumi di Laura Liguori, disegno luci di Andrea Lisco e musiche di Diego Maggi, per la regia di Marco Rampoldi, co-produzione CMC/Nidodiragno e Rara. Tra echi shakespeariani e rimandi ai gialli di Agatha Christie, “La moglie fantasma” accende i riflettori su un delitto: la vittima è una celebre attrice, morta suicida (apparentemente) al termine di una trionfale tournée il cui spettro, come nell’“Amleto”, riappare tra i vivi per chiedere vendetta. La defunta si presenta, in spirito, all’ex marito che, dopo le prime reazioni di sconcerto e sgomento, accetta di organizzare le prove di uno spettacolo ispirato all’omicidio, così da smascherare il/la colpevole e restituire finalmente all’anima inquieta la sua pace. Una commedia nera, che racconta la realtà intricata, fatta di istintive simpatie e antipatie e acerrime rivalità, nascoste dietro la cortesia ed il cameratismo del mondo dello spettacolo: tuttavia, a dispetto dello stratagemma della falsa commedia, attrici e attori, capaci per professione e per vocazione di fingere e dissimulare i propri sentimenti al punto da creare l’illusione della verità, non dovrebbero incontrare difficoltà nel mostrare il volto dell’innocenza. La fatidica “prova” comunque ha inizio ed è subito un susseguirsi di situazioni paradossali e surreali, comiche e grottesche, in cui tutti gli artisti «mettono in luce le ‘piccolezze’ e fragilità di chi fa questo mestiere, e gli aspetti affascinanti di un gioco di scatole cinesi in cui non si capisce più dove finisca la realtà e inizi la finzione, tra continui colpi di scena, fino al parossistico finale».

Una galleria di ritratti di artiste e scienziate, atlete ed attiviste – giovedì 5 marzo alle 21 – “Ribelle / Storie di una notte cambiata”, la pièce dedicata alla scrittrice Michela Murgia e liberamente ispirata alle “Storie della buonanotte per bambine ribelli” di Francesca Cavallo ed Elena Favilli, con drammaturgia e regia di Maurizio Giordo (da un’idea di Paola Zoroddu), offre preziosi spunti di riflessione sulla condizione femminile, sul desiderio di emancipazione ma anche sulla volontà di porre fine alla violenza di genere. Una narrazione corale a più voci per rappresentare le molteplici sfaccettature dell’universo femminile, tra canti e racconti, con ricerca musicale e direzione cori di Sara Ledda, scenografie di Cassetto 108 di Manuel Attanasio, Marco Velli e Maurizio Giordo, disegno luci di Antonio Loriga e Maurizio Giordo e sound design di Marco Chirigoni e Maurizio Giordo, assistente alla drammaturgia Stefania Biddau, Voice Off di Maria Ledda, produzione Inoghe / Associazione Cultura e Spettacolo Ozieri – La Compagnia delle Donne – Gurdulù Teatro. In uno strano orfanotrofio un gruppo di donne-bambine ogni notte rivivono la loro infanzia “rubata”, tra ninna nanne, ricordi e letture, intrecciando il proprio vissuto con quello di cantanti come Maria Callas e Miriam Makeba, scrittrici come Grazia Deledda, ma anche le indomite Madri di Plaza de Mayo, campionesse sportive e streghe. Un’antologia di racconti che tracciano un ideale cammino verso la parità, tra il superamento dei modelli e dei pregiudizi della tradizione patriarcale ed il riconoscimento dell’intelligenza e dei talenti delle donne, sull’esempio di antiche e moderne eroine che hanno scelto di non rinunciare ai propri sogni, contribuendo così a scrivere la storia ed a cambiare il mondo.

Una moderna epopea – sabato 14 marzo alle 21 con “Il Vecchio e il Marlin”, uno spettacolo di Roberto Abbiati, Claudio Morganti e Johannes Schlosser, dal celebre romanzo di Ernest Hemingway, con traduzione e drammaturgia di Roberto Abbiati, anche protagonista sulla scena accanto al musicista Johannes Schlosser, per la regia di Claudio Morganti – produzione Gli Incamminati / Centro di Produzione Teatrale e BAM Teatro. Una pièce immaginifica ed emozionante basata sulle avventure marinaresche e sulla lotta tra uomo e natura: «un vecchio marlin e un vecchio pescatore s’incontrano al largo dell’oceano: non si conoscevano, non si erano mai incontrati prima», e così si studiano a vicenda, il pesce si chiede come ragioni il pescatore, l’uomo come pensi il marlin, e «già questo fa sorridere, un pesce che cerca di capire cosa sta pensando il pescatore». Una trama già nota, reinterpretata in chiave onirica e poetica, dove preda e predatore, per natura avversari, fanno entrambi parte del grande gioco della vita e rappresentano quindi l’uno l’immagine speculare dell’altro, in un contesto in cui si impara e rispettare il proprio nemico, almeno nell’età della saggezza. “Il Vecchio e il Marlin” è un avvincente racconto fatto di parole, suoni e visioni dove l’uomo e il pesce «come in un romanzo d’avventura decidono d’esser epici, e si danno battaglia con un gran sciabordio d’acqua e sussulti d’onda, ma lo fanno mettendosi d’accordo, per far bella figura tutt’e due. Così saranno per sempre un grande marlin e un nobile pescatore». In scena «la storia di un piccolo uomo che mette in gioco la sua vita nel tentativo di catturare un grande pesce» – sottolinea Claudio Morganti –. E «il pesce, a tratti, fa sentire la sua voce. E’ la voce del mondo che rimbomba nelle nostre teste, quella che preferiamo non ascoltare».

Un delicato e toccante rito di commiato – venerdì 20 marzo alle 21 – con “La Morte ovvero Il pranzo della domenica” (finalista al Premio Ubu 2024), uno spettacolo ideato, scritto e diretto da Mariano Dammacco ed interpretato da Serena Balivo, con musiche originali di Marcello Gori, consulenza spazio e luci di Vincent Longuemare, oggetti di scena a cura di Andrea Bulgarelli / Falegnameria Scheggia – produzione Compagnia Diaghilev – Dammacco/Balivo (con il sostegno di Spazio Franco – Palermo e Casa della Cultura Italo Calvino – Calderara di Reno). La pièce affronta «il più grande tabù della nostra cultura» attraverso la storia una donna non più giovane e dei suoi anziani genitori, che ogni settimana si riuniscono davanti ad una tavola per consumare il pasto festivo, mantenendo vivi i legami ed i ricordi e preparandosi insieme al distacco in attesa dell’inevitabile fine”. “La Morte ovvero Il pranzo della domenica” racconta la vecchiaia ed il mistero dell’aldilà, il senso della perdita e la consapevolezza dello scorrere del tempo, ma anche la volontà di trattenere quegli istanti preziosi e conservare la memoria delle persone care. Una riflessione sulla fragilità e sulla brevità dell’esistenza umana, sul valore simbolico dei gesti che compongono una sorta di rituale, per infrangere la solitudine ma anche sul comprensibile interesse, se non sull’ossessione, della coppia di ultranovantenni su ciò che li attende, varcata l’estrema soglia. “La morte ovvero il pranzo della domenica” rappresenta quasi «un invito a partecipare a un congedo appassionato e divertito che prova a restituirci la bellezza della vita stessa all’interno dell’esperienza dell’ultima separazione dalle persone amate, e all’interno della potenza nascosta e piena di pudori dell’amore in famiglia, l’amore tra vecchi sposi, l’amore tra genitori e figli».

Il gioco delle passioni, tra amori e incantesimi – giovedì 16 aprile alle 21 – nel “Sogno di una notte di mezza estate” di COB / Compagnia Opus Ballet, con coreografie di Davide Bombana e musiche di Felix Mendelssohn e Jóhann Jóhannsson, dalla celebre commedia di William Shakespeare, con disegno luci di Carlo Cerri, abiti di Ermanno Scervino, direzione tecnica di Laura De Bernardis, editing musicale di Silvio Brambilla, elementi scenografici di Margherita Citran, sartoria a cura di Lisa Perin, per una versione immaginifica della storia dei giovani innamorati, tra fughe e inseguimenti, cui fa da contrappunto la rivalità fra i sovrani del regno delle fate. Sotto i riflettori Giuliana Bonaffini, Emiliano Candiago, Matheus De Oliveira Alves, Ginevra Gioli, Gaia Mondini, Giulia Orlando, Niccolò Poggini, Giovanni Russo, Sara Schiavo e Frederic Zoungla, Maître de ballet Giusi Santagati: un “Sogno” danzato in chiave contemporanea, fra accenti romantici e sonorità “nordiche”. «Rifacendomi ai temi dell’irrazionale e dell’assurdo presenti nel celebre testo di Shakespeare, vorrei creare un’atmosfera quasi beckettiana dove, tra realtà e allucinazione, un gruppo di danzatori danno vita ad un gioco di intrecci amorosi imprevedibile e vivace» afferma il coreografo Davide Bombana che dedica questa sua creazione a Silvia Poletti (scomparsa nel 2024). Nella dimensione “selvaggia” del bosco, popolato da fate e folletti, le vicende dei quattro giovani «sopraffatti in una notte d’estate dal loro bisogno d’amore e dall’irruenza della loro libido», si intrecciano allo scontro fra Oberon e Titania, «re e regina del mondo dell’allucinazione», che «sconvolgono nella loro furia l’equilibrio del pianeta».

Il fascino degli antichi miti – lunedì 20 aprile alle 21 – con “Metamorfosi”, dal celebre poema di Ovidio, con la voce recitante di Nina Pons, in scena con i performers e musicisti Mugen Yahiro, Naomitsu Yahiro e Tokinari Yahiro, in uno spettacolo avvincente e ipnotico scandito dalle metriche incalzanti dei tamburi giapponesi dei Munedaiko, con adattamento e regia di Andrea Baracco (produzione Cardellino srl). “Le Metamorfosi” di Publio Ovidio Nasone offrono una «grandiosa rappresentazione del carattere instabile, precario e illusorio della realtà» – come sottolinea il regista Andrea Baracco – e l’idea stessa dell’umano «trova la sua essenza più profonda e specifica nell’ambiguo, nel non risolto, nell’ibrido, in definitiva nella complessità», in un vivido affresco della natura, senza (pre)giudizi, quindi al di là del bene e del male. Si parte da “L’Origine”, in cui si descrive il Caos primigenio e la nascita del cosmo, con la separazione tra cielo e terra e la comparsa degli esseri viventi, tra cui, per ultimo, l’Uomo, «“l’unico che ha lo sguardo rivolto al cielo e non alla terra». Nel mito di “Apollo e Dafne”, il dio invaghitosi della bella ninfa non si rassegna al rifiuto e la insegue, finché la raggiunge e la stringe, ormai mutata in alloro, in un abbraccio feroce, in una favola triste sulla potenza dell’eros che si traduce in distruttiva follia e violenza brutale. Infine la storia di “Fetonte”, che alla guida del carro del Sole, suo padre, si slancia nel cielo in una folle corsa, finché a causa della sua temerarietà e della sua giovanile irruenza, «precipita come una stella cadente e muore».

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