E’ arrivata la bocciatura da parte della Corte costituzionale per la legge della Regione Sardegna numero 20 del 2024 sulle aree idonee e non alla realizzazione di impianti da energie rinnovabili.
La Sardegna era stata la prima regione in Italia a dotarsi di una norma che applicasse i decreti ministeriali, poi modificati.
La Consulta ha accolto parte delle eccezioni sollevate dal governo che aveva impugnato la norma. In particolare ha stabilito che “la qualifica di non idoneità di un’area non può tradursi in un aprioristico divieto di installazione” degli impianti Fer. Un divieto assoluto avrebbe l’effetto di precludere l’accesso “ai procedimenti autorizzatori semplificati, strumenti previsti dal legislatore statale per accelerare la diffusione delle fonti rinnovabili nelle aree idonee”.
Per questa ragione, la Corte ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’articolo 1, comma 5, della legge regionale.
Un punto cruciale della decisione riguarda la retroattività della legge regionale sarda sugli atti già in essere. La Corte ha stabilito che la legge regionale “non può travolgere tutti gli atti autorizzativi già rilasciati”.
La normativa impugnata prevedeva che gli atti autorizzativi già emanati per impianti ricadenti in aree non idonee fossero privi di efficacia, ponendo come unico limite la “modifica irreversibile dello stato dei luoghi”. Secondo la Corte, questo travolgimento, “non motivato da ragioni di carattere tecnico o scientifico”, si traduce in una limitazione irragionevole del “legittimo affidamento” e lede il principio della “certezza del diritto”. Inoltre, gli operatori che hanno completato positivamente le procedure hanno già sostenuto ingenti costi tecnici e amministrativi.
Con queste motivazioni è stata anche cassata parte dell’articolo 1, comma 2, limitatamente alle parole che estendevano l’applicazione della legge anche agli impianti “autorizzati che non abbiano determinato una modifica irreversibile dello stato dei luoghi”.
La Corte ha inoltre annullato l’articolo 1, comma 8, che consentiva gli interventi di ammodernamento e potenziamento degli impianti esistenti solo a condizione di non aumentare superfici occupate o, per l’eolico, l’altezza delle struttura”.
Accolto anche il ricorso sulla parte dedicata agli impianti off-shore. L’articolo 1, comma 9, che individuava aree marine non idonee, è stato dichiarato incostituzionale perché la normativa nazionale non attribuisce alle Regioni competenze legislative in materia.
La Consulta ha poi censurato le presunte misure di semplificazione introdotte dalla Regione per autorizzare impianti FER in aree non idonee. Le disposizioni dell’articolo 3 (commi 1, 2, 4, 5 e 6) sono state giudicate incostituzionali perché alterano la disciplina statale dell’autorizzazione paesaggistica, che deve restare uniforme su tutto il territorio nazionale.
“La transizione energetica non è un processo neutro né automatico che bisogna necessariamente governare. Questo significa assumersi una responsabilità politica chiara, fondata su pianificazione, regole certe e coinvolgimento delle comunità locali”.
Così gli assessori regionali degli Enti locali, Finanze e Urbanistica, Francesco Spanedda, e dell’Industria, Emanuele Cani, intervengono a seguito della sentenza della Corte costituzionale che ha dichiarato l’illegittimità di alcune disposizioni della normativa regionale in materia di aree idonee, fornendo chiarimenti rilevanti nel quadro nazionale fortemente contraddittorio che si è determinato negli ultimi anni.
“La Sardegna non può essere considerata uno spazio vuoto da occupare – sottolineano – ma un territorio complesso, ricco di valori ambientali, culturali e identitari che devono essere tutelati anche mentre si accelera la transizione energetica”.
In questo quadro si inserisce il lavoro svolto dalla Regione Sardegna con la legge regionale 20/2024, successivamente integrata, che ha rappresentato un argine concreto alla trasformazione indiscriminata del paesaggio sardo in paesaggio industriale. “A legislazione vigente – evidenziano gli assessori – il paesaggio sardo è stato preservato. La Regione ha esercitato fino in fondo il proprio ruolo di governo”.
La sentenza della Corte costituzionale viene assunta dalla Regione come un punto fermo, utile a fare chiarezza dopo una fase segnata da una produzione normativa statale incoerente, che ha reso difficile per le Regioni esercitare le proprie competenze.
Gli elementi di maggior rilievo che emergono dalla sentenza sono la mancanza di competenza su impianti offshore, per i quali rimane una voce in capitolo sulla regolamentazione dell’attacco a terra; la mancanza di divieto generalizzato sullle aree non idonee, che viene sostituito da un’istruttoria rafforzata; la questione dei progetti già approvati, che possono essere bloccati solo a seguito di fondate valutazioni tecnico-scientifiche, mentre viene confermata la prevalenza della non idoneità sull’idoneità.
Spanedda e Cani sottolineano inoltre l’evoluzione in atto nel quadro normativo nazionale, che tende a spostare l’attenzione da una pianificazione per aree a una valutazione puntuale dei singoli interventi.
“Questo spostamento di obiettivo ha conseguenze rilevanti – avvertono – perché rischia di scaricare il peso delle decisioni sui Comuni, che sono già fortemente oberati e si trovano a fronteggiare situazioni estremamente complesse. Sempre più spesso chiedono aiuto alla Regione. Noi continueremo a offrire un ‘ombrello’ istituzionale, rafforzando il ruolo regionale nella pianificazione e nel supporto agli enti locali”.
Nel quadro nazionale, gli assessori ribadiscono le criticità del decreto legislativo 175/2025. “Faremo ricorso non appena il decreto sarà convertito in legge, perché riduce in modo significativo la possibilità per le Regioni di decidere. Sarà comunque nostra premura modificare le nostre norme tenendo conto dei chiarimenti forniti dalla Corte costituzionale”.
“Noi continuiamo a sostenere che le Regioni debbano avere voce e strumenti per governare la transizione energetica in modo responsabile, pianificato e partecipato. Solo così è possibile coniugare sviluppo, tutela del paesaggio e autodeterminazione delle comunità locali”.


















