Alla fine di agosto 2005, l’uragano Katrina si abbatté su New Orleans. Era una tempesta della categoria più violenta, con raffiche che superavano i 280 chilometri orari.
Ma non fu il vento, bensì l’acqua, a distruggere la città costruita sul delta del Mississippi. La mareggiata provocata dalla tempesta ruppe gli argini dei canali che la attraversano: l’80% del territorio urbano fu sommerso.
Molti abitanti si rifugiarono sui tetti mentre i piani inferiori delle loro case – e la vita che contenevano – scomparivano nel giro di pochi minuti. Fu subito evidente che la prevenzione era stata inadeguata e gli aiuti arrivarono tragicamente in ritardo.
Gli Stati Uniti – allora guidati da un presidente che sottovalutò l’emergenza, e oggi da uno che minimizza la crisi climatica e taglia i fondi per combatterla – si preparano a ricordare il 20/o anniversario di quel disastro da duemila morti. National Geographic lo fa con ‘Uragano Katrina: Corsa contro il tempo’, una docuserie disponibile su Disney+ dal 28 luglio. “Spero serva per non dimenticare, ma anche come monito per un presente in cui i disastri naturali sono sempre più frequenti” racconta la regista Traci A. Curry.
Candidata all’Oscar nel 2022 per Attica, il documentario sulla storica rivolta carceraria che denunciava le ingiustizie razziali e il potere repressivo dello Stato, Curry interpella anche qui un coro di sopravvissuti per intrecciare una riflessione più ampia su razza e disuguaglianze. “Quella di Katrina non è la storia di un uragano. È la storia di ciò che è successo dopo. Se i disastri naturali sono ciechi, perché colpiscono ovunque e senza pregiudizi, le conseguenze ci vedono benissimo. Sebbene quasi l’intera città sia finita sott’acqua, l’impatto del disastro non fu uguale per tutti. Fu assai più feroce con i vulnerabili”, spiega in una conversazione con l’ANSA. Vent’anni fa era appena uscita dal college: “Guardavo le immagini in tv, pensavo di capire. Solo oggi mi rendo conto di quanto poco sapessimo. Katrina non ha solo segnato New Orleans: l’ha divisa. C’è una città prima e una dopo”.
Curry ha trascorso oltre un anno a raccogliere le storie di chi ha vissuto quei giorni. “Evacuare costa. Serve un’auto, benzina, un posto in cui andare. Anche una stanza in un motel ha un prezzo. A fine estate, molte famiglie avevano già speso i loro soldi per il ritorno a scuola, ed erano rimaste a secco”, osserva. “Le disuguaglianze sociali e razziali non furono causate da Katrina: furono rese evidenti da Katrina. L’uragano agì prima come una livella, ma poi come rivelatore e acceleratore di ingiustizie sistemiche”.
Nei momenti in cui la tempesta ancora non aveva raggiunto il suo apice, decine di migliaia di persone si rifugiarono nel Superdome, il grande palazzetto del quartiere finanziario. “Sono tutti neri. Vedo una marea nera”, commenta in una ripresa uno dei testimoni, il poeta e attivista Shelton Alexander, che fa indugiare l’obiettivo della sua videocamera su file di madri con bambini aggrappati, famiglie, anziani in sedia a rotelle, sguardi persi, coperte arrotolate sotto il braccio, qualche sacchetto con del cibo. Aveva iniziato a filmare appena era cominciata la pioggia, e ha continuato per giorni. La sua voce e i suoi video amatoriali – lucidi, veri, mai mostrati prima – guidano le cinque puntate del documentario.
Prodotta dalla Lightbox (fondata dal premio Oscar Simon Chinn) e dalla Proximity Media di Ryan Coogler – regista del piccolo miracolo del box office ‘Sinners – I Peccatori’, e in precedenza di ‘Creed’ o ‘Black Panther” – la serie è una cronaca dettagliata e coinvolgente, quasi minuto per minuto, della tempesta e delle sue conseguenze. Con uno sguardo diretto, privo di retorica, mostra come un disastro naturale si sia trasformato in tragedia nazionale.
Un racconto che parla anche del presente. “Mentre lavoravamo, storie simili si sono ripetute. Nelle ultime settimane c’è stata un’alluvione terribile in Texas. A gennaio, gli incendi a Los Angeles. Cambiano i fenomeni – inondazioni, incendi – ma l’origine è la stessa: poco rispetto per l’ambiente e cecità di fronte alle grandi mutazioni climatiche. E purtroppo, abbiamo imparato poco dal passato. Chi ha meno risorse paga il prezzo più alto”, conclude, scrive Lucia Magi per l’Ansa.






















