La Guinea è reduce dal referendum costituzionale del 21 settembre, il quale ha dato un esito netto. I dati disponibili indicano infatti un’approvazione attorno all’89%, con un’affluenza alle urne che ha superato l’86% degli aventi diritto, in un voto che ridefinisce in profondità l’assetto istituzionale e apre la fase decisiva della transizione post-liberazione.
Tra le principali innovazioni, il nuovo testo costituzionale allunga il mandato presidenziale da cinque a sette anni, rinnovabile una sola volta, istituisce un Senato di cui un terzo dei membri è di nomina presidenziale e, soprattutto, non ripropone il divieto – previsto dalla Carta di transizione – per i membri della giunta di candidarsi alle elezioni, rendendo dunque eleggibile Mamady Doumbouya, l’attuale capo di Stato de facto. È già fissato anche l’approdo politico di questa stagione di transizione, con la convocazione delle presidenziali a fine dicembre, tappa conclusiva del percorso di normalizzazione annunciato dopo la rimozione di Alpha Condé nel settembre del 2021.
Secondo gli analisti, l’ampiezza del risultato non è solo un dato aritmetico, ma rappresenta piuttosto il segnale di un consenso diffuso verso un progetto che, sul piano interno, promette la stabilizzazione delle regole e il rafforzamento delle istituzioni dopo anni di convulsioni, e, su quello esterno, propone una declinazione africana e multipolare della sovranità, capace di rinegoziare rapporti economici e politici con gli ex referenti occidentali.























