La Sardegna presenta un sistema produttivo incentrato su settori tradizionali e a bassa vocazione tecnologica, che fatica ad adattarsi ai cambiamenti.
Il ricambio generazionale procede lentamente, anche per via di un mercato del lavoro che non riesce a garantire una domanda occupazionale stabile che concentra gran parte dei rischi sui giovani e sulle donne, in termini di precarietà, disoccupazione, contratti a termine, part-time involontario e forte stagionalità.
Questa situazione alimenta l’emigrazione della componente più dinamica e istruita della società, accelerando l’invecchiamento strutturale (specialmente nelle aree interne più isolate e depresse) e il declino della popolazione in età lavorativa, con conseguenze dirompenti sull’equilibrio socio- economico dell’Isola.
È quanto emerge dalla ricerca realizzata dalla Cna Sardegna dal titolo “Sardegna al lavoro, analisi e scenari di mercato tra innovazione, IA e nuove competenze: quale futuro per l’occupazione”, presentata oggi a Cagliari.
I trend sulle dinamiche occupazionali sono positivi: tra il 2024 e 2021 si contano 30mila occupati in più; la percentuale di occupati nella classe 20/64 anni è passata dal 57% al 62%, mentre il tasso di disoccupazione ha raggiunto il valore minimo degli ultimi 50 anni (8,3%).
Numeri postivi che tuttavia se inseriti nel contesto più ampio delle tendenze generali dell’economia italiana dell’ultimo quinquennio, si ridimensionano. Nel confronto con le altre regioni italiane, la performance quinquennale del mercato del lavoro sardo appare modesta.
Le statistiche ufficiali sulla popolazione per anno di età dicono che nel corso dell’ultimo decennio la popolazione con età comprese tra i 20 e 64 anni ha registrato 118mila unità in meno, una contrazione che si amplifica al -22,3% tra la popolazione tra i 20 e 34 anni, (-4,6% e 7,7% rispettivamente le medie nazionali). Le proiezioni per il prossimo decennio indicano una possibile accelerazione del fenomeno, con una riduzione di 122mila unità in età lavorativa. Senza efficaci politiche del lavoro, nel prossimo decennio le trasformazioni demografiche in atto porteranno ad un calo del numero degli occupati di 76mila unità. Questo in assenza di significativi incrementi di produttività, produrrà un assestamento del calo del reddito pro-capite per i cittadini sardi al netto dell’inflazione del 6,5%.
La Sardegna è la regione che nella media dell’ultimo triennio, dopo la Valle d’Aosta, il lavoro stagionale ha inciso di più sulla domanda di lavoro (il 58% contro una media nazionale del 15,4%).
La percentuale dei laureati negli atenei sardi che lavorano fuori dall’isola dopo 5 anni dal conseguimento del titolo è pari al 20%. Il sistema delle imprese della Sardegna potrebbe aumentare il proprio valore aggiunto, a parità di costi produttivi e ore lavorate, di circa il 25% se operasse in maniere ottimale ovvero, come le regioni che si collocano sulla frontiera efficiente. Si tratta di 9 mld di euro di maggiore PIL (ai prezzi del 2023) ottenibili, investendo sulla formazione del capitale umano, sul miglioramento dei processi produttivi, della tecnologia, dell’organizzazione dei modelli gestionali.
“Un’analisi del mercato del lavoro che vada oltre la positività che è possibile cogliere dall’incremento occupazionale dell’ultimo triennio, quasi tutto concentrato su settori a basso valore aggiunto propone se analizziamo la struttura del mercato, in termini di precarietà, disoccupazione, contratti a termine, part time involontario, stagionalità, produttività e la qualità del capitale umano, elementi di grande preoccupazione, soprattutto se si guarda al salto tecnologico in atto e alla competizione economica sempre più accentuata tra i sistemi territoriali”, affermano Luigi Tomasi e Francesco Porcu, rispettivamente presidente e segretario regionale di CNA Sardegna, scrive l’Ansa.























