Riceviamo e pubblichiamo, secondo le forme previste dall’Ordinamento, una lettera di Gianni Alemanno indirizzata al direttore de “Il Tempo”, Tommaso Cerno.
Caro Direttore, ci rivolgiamo a Lei come detenuti che vivono quotidianamente il dramma di un sistema carcerario al collasso. Siamo due persone molto diverse: uno impegnato in politica e improvvisamente catapultato in questa realtà; l’altro, invece, ha vissuto a lungo la condizione detentiva, laureandosi in Giurisprudenza e dedicandosi alla difesa dei diritti dei detenuti. Ci accomuna lo sgomento e l’indignazione per una situazione che viola i principi costituzionali e resta ignorata nel dibattito pubblico.
L’inizio dell’Anno giubilare e i ripetuti appelli di Papa Francesco per un atto di clemenza avevano acceso una speranza tra i detenuti e le loro famiglie, ma tali richiami sono caduti nel vuoto. Il silenzio della politica dimentica che la nostra Costituzione fu scritta anche da chi conobbe la sofferenza della prigionia per le proprie idee e stabilisce all’articolo 27 che “le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato”.
Oggi, il populismo penale impone lo slogan “buttiamo via la chiave”, mentre l’indifferenza politica lo raccoglie con un altro: “chiudiamoli in cella e dimentichiamoci di loro”, celandosi dietro la promessa irrealizzabile di costruire nuovi istituti penitenziari. Si confonde la necessità di tutelare la sicurezza pubblica con l’inasprimento della condizione carceraria, senza considerare che un sistema sovraffollato e inumano favorisce la recidiva invece di prevenirla.
Le carceri italiane versano in una condizione drammatica, con tassi di sovraffollamento tra il 150% e il 200%, e un incremento di detenuti che cresce cinque volte più velocemente rispetto ai posti disponibili. Il carcere è diventato una discarica sociale, accogliendo persone con problemi psichiatrici e dipendenze, senza fornire le cure necessarie. La sanità penitenziaria è allo sbando: molti detenuti non ricevono cure adeguate a causa della mancanza di personale per gli accompagnamenti ospedalieri.
Un altro aspetto allarmante è l’incremento dei detenuti ultrasettantenni. La morte per vecchiaia in carcere rappresenta una sconfitta per uno Stato di diritto. La Corte Costituzionale, con la sentenza 56/2021, ha stabilito che i condannati over 70 non recidivi dovrebbero beneficiare della detenzione domiciliare, ma la realtà è ben diversa: nel nostro reparto ci sono detenuti di quasi 90 anni.
L’abuso della carcerazione preventiva è un altro scandalo: ogni anno lo Stato paga milioni di euro per risarcimenti dovuti a ingiuste detenzioni. La politica dell’inasprimento ha portato al collasso del sistema penitenziario, mentre i provvedimenti esistenti per decongestionarlo vengono ignorati. La legge 112/2024, che introduce il “fine pena virtuale” per facilitare l’accesso a misure alternative, non viene applicata dai tribunali di sorveglianza. Lo stesso accade con la sentenza 253/2019 della Corte Costituzionale, che consente ai detenuti con buona condotta di ottenere permessi premio, indipendentemente dalla loro collaborazione con la giustizia.
Le soluzioni esistono, ma non vengono adottate. L’applicazione delle sentenze costituzionali e l’uso effettivo di misure alternative permetterebbero di decongestionare le carceri e generare un enorme risparmio. È necessario estendere gli affidamenti in prova, aumentare gli sconti di pena per buona condotta e rendere effettivo l’accesso ai permessi trattamentali.
Chiediamo al Ministro della Giustizia e a tutte le forze politiche l’istituzione di un Tavolo di lavoro per affrontare seriamente il problema del sovraffollamento e della condizione insostenibile dei detenuti. Questo organismo dovrebbe coinvolgere, oltre alla politica, la Polizia Penitenziaria, le associazioni attive nelle carceri e le rappresentanze della Magistratura e dell’Avvocatura. Solo attraverso ispezioni dirette si potrà comprendere la gravità della situazione e riportare il sistema penitenziario entro i principi costituzionali e di umanità.
Prima che l’Anno giubilare si concluda, facciamo in modo che gli appelli di Papa Francesco non rimangano inascoltati, così come accadde trent’anni fa con San Giovanni Paolo II.
Grazie per l’attenzione.
Gianni Alemanno





















