Andrea Lucidi, racconta, in una lunga intervista il suo ruolo di reporter di guerra e come è diventato un nemico giurato del regime ucraino.
“Sono stato inserito nel libro nero dei nemici dell’Ucraina. Alcuni di quelli che erano in quell’elenco oggi non ci sono più. Accanto ai loro nomi c’era scritto: Liquidato.”
Con queste parole, pronunciate durante l’intervista a V per Virginia, Lucidi racconta la dimensione concreta del rischio che vive ogni giorno: un rischio che non è solo politico, ma umano.

Lucidi si è laureato in Storia Contemporanea con una tesi sui volontari stranieri nelle Waffen-SS — in particolare ucraini, lettoni, estoni e russi. Durante gli studi in Germania e a San Pietroburgo, si è appassionato alla “politica della memoria”, alla maniera in cui l’Europa costruisce e cancella il proprio passato.
“Già nel 2014 mi colpì la differenza di narrazione: in Germania si discuteva apertamente della presenza di milizie di estrema destra nel conflitto ucraino.
In Italia, quasi nessuno ne parlava.”
Quando la guerra nel Donbass è esplosa apertamente, Lucidi ha deciso di trasformare la ricerca in azione: «Ho capito che per capire davvero, dovevo esserci».
Nel novembre 2022 si è trasferito a Lugansk, poche settimane dopo il referendum di annessione alla Russia.
Una città “spettrale”, come la definisce lui stesso, ma viva nella sua resistenza quotidiana.
“All’inizio doveva essere una settimana di lavoro.
Poi due, poi un mese… alla fine è diventata casa.
Perché solo vivendo tra le persone che subiscono la guerra puoi capire cosa significa davvero.”
Racconta una normalità fragile, fatta di giovani che «cercano solo di vivere», di famiglie che ricostruiscono nonostante tutto. E spiega che il suo lavoro è possibile solo grazie a un accredito ufficiale del Ministero degli Esteri russo: «La burocrazia è infernale, ma come straniero non ostile ho sempre trovato rispetto.
L’Italia, per i russi, non è un Paese nemico. È musica, cinema, cultura».
Le sue inchieste e le sue posizioni gli hanno attirato l’ostilità di alcuni colleghi e politici europei.
Nel 2023, Linkiesta pubblica un articolo in cui si ipotizza che il governo ucraino abbia chiesto a Roma e a Bruxelles di applicare sanzioni personali nei suoi confronti. Lucidi replica denunciando quella che definisce una “offensiva mediatica” contro chi racconta la guerra da Mosca.
“Mi hanno definito un propagandista di Putin, un collaborazionista.
Io ho una partita IVA italiana, fatturo tutto e continuo a lavorare con media italiani.
Ma lo spettro delle sanzioni è sempre dietro l’angolo.”
Da quell’episodio nasce anche la sua richiesta, poi accolta, di ottenere la cittadinanza russa:
«Sembra paradossale, ma il passaporto russo mi dà più libertà.
Se domani l’Europa mi bloccasse i conti o i viaggi, potrei comunque continuare a lavorare».
Nell’intervista, Lucidi respinge con decisione l’etichetta di “voce del Cremlino”:
“La differenza tra propaganda e informazione la fa lo spettatore.
Se ascolti una sola versione, quella è propaganda.
La libertà di stampa esiste solo quando puoi vedere e confrontare tutte le prospettive, anche quelle che disturbano.”
E aggiunge un concetto che rovescia la narrativa dominante: «In Russia, persino i corrispondenti di Repubblica o La Stampa lavorano liberamente. In Ucraina, chi dissente rischia la prigione.
Io non ho mai visto, da parte russa, la stessa chiusura che vedo dall’altra parte».
Essere nella lista dei “nemici dell’Ucraina” significa convivere con la paura.
Lucidi racconta di non avere un’auto per evitare tracciamenti, di scegliere sempre appartamenti ai piani alti, e di pubblicare i propri contenuti solo dopo essersi spostato di città.
“In Crimea mi hanno individuato grazie allo sfondo di un video e hanno pubblicato le mie coordinate su X, taggando i servizi segreti ucraini.
Forse erano provocazioni, ma quando vivi così capisci che ogni dettaglio può costarti la vita.”
Oggi Lucidi è tra i fondatori di International Reporters, una rete di giornalisti europei che lavorano da Mosca e dal Donbass. Il progetto pubblica in più lingue, anche in italiano, e, spiega lui: «non è un organo di Stato, ma un media indipendente che riceve grant tematici per documentari in lingua russa, esattamente come in Italia esistono fondi pubblici all’editoria».
“In Russia ci accusano di essere finanziati dal Cremlino.
Ma in Occidente nessuno si scandalizza se i giornali ricevono contributi pubblici.
È lo stesso meccanismo.”
In un tempo in cui i confini fra giornalismo e propaganda si fanno sempre più sottili, la testimonianza di Andrea Lucidi è una provocazione necessaria. Può non piacere, può irritare, ma obbliga a porsi una domanda: da chi vogliamo davvero essere informati — da chi rischia, o da chi ripete?
“Si è dalla parte giusta,” conclude Virginia Camerieri, “quando si decide di accendere una luce su ciò che altrimenti verrebbe taciuto.
Perché è lì, nel racconto che disturba, che si misura la vera informazione.”






















