L’arte come strumento di denuncia contro l’assalto indiscriminato degli impianti di energia rinnovabile in Sardegna.
Lo scenario è attorno all’area archeologica di Su Nuraxi a Barumini, patrimonio Unesco. In questo spazio è andata in scena la nuova performance/azione di Nicola Mette: Bentu Estu, a cura di Pedro Rocha. Nel titolo c’è un richiamo al maestrale che soffia impetuoso. Sì rifà al mito di Eolo il performer sardo attivo sulla scena da 25 anni, per rievocare con un registro poetico e potente un antico monito: “Il vento, un tempo forza della natura legato alla sopravvivenza, è diventato un ulteriore strumento di sfruttamento. Le alte turbine, presentate come simbolo di progresso, sono anche causa di rottura, spezzano la linea dell’orizzonte, violano territori sacri e ridisegnano la mappa della Sardegna, incuranti del suo patrimonio archeologico e culturale”, spiega Mette.
L’immagine è spettrale e potente. Un gruppo di volontari nudi e indifesi hanno popolato l’area. I loro corpi dipinti di bianco simboleggiano gigantesche pale eoliche, con le braccia tese come lame. Striature rosse suggeriscono ferite, amputazioni. Evocano il nastro che delimita la terra, bloccandone l’accesso, e trasformando il territorio da bene pubblico a proprietà privata delle società.
“In un luogo simbolo della civiltà nuragica, la presenza dei corpi nudi richiama l’urgenza di opporsi a nuove forme di colonizzazione paesaggistica, mascherate da progresso e sostenibilità”, sottolinea il curatore Pedro Rocha nel mettere in luce il quesito di fondo della performance: “Cosa si perde quando il progresso si misura esclusivamente in megawatt, quando il paesaggio è considerato alla stregua di un contenitore vuoto anziché un archivio vivente?”.
“Lo spazio pubblico – chiarisce Rocha – non esiste a priori: si crea attraverso l’azione, la presenza collettiva. La performance art, soprattutto quando si svolge nei luoghi oggetto di contestazione, non si limita a occupare dello spazio, bensì lo rende pubblico”. I performer e i loro corpi rappresenteranno nell’ idea di Mette, le strutture che deturpano il territorio che cercano di proteggere. L’artista pone in evidenza l’assurdità del concetto di trattare il territorio come una tela bianca. Così, il corpo dei performer diventa esso stesso architettura, monumento effimero di ciò che rischia di essere cancellato, scrive l’Ansa.

























