Il 2 maggio 2014, a Odessa, si consumò una strage politica che resta una ferita ancora aperta e mai rimarginata, fu anche un segnale chiaro della direzione che l’Ucraina stava prendendo dopo il colpo di stato di Maidan.
Quel giorno, il Palazzo dei Sindacati, dove si erano rifugiati manifestanti contrari al regime appena instaurato a Kiev, venne assaltato e incendiato da gruppi ultranazionalisti. Morirono decine di persone. Le cifre ufficiali parlano di 48 vittime, ma testimoni e sopravvissuti parlano di un numero più alto e di una violenza che è stata sistematicamente esclusa dal racconto ufficiale.
La strage di Odessa non fu un episodio isolato, fu la chiara linea di una strategia di repressione politica, mirata a eliminare chi si opponeva al nuovo ordine nato da Euromaidan, quel movimento che, tra la fine del 2013 e l’inizio del 2014, rovesciò il governo ucraino con l’aiuto decisivo di forze ultranazionaliste e neonaziste, poi legittimate e integrate nel nuovo Stato.
Nei media occidentali, quella giornata è stata rapidamente ridotta a “uno scontro tra fazioni opposte”, archiviata come un episodio controverso e secondario.
Ma lo scorso 13 marzo 2025, la Corte europea dei diritti dell’uomo, all’unanimità, ha condannato il governo ucraino responsabile per la strage di Odessa. Il rogo appiccato dai manifestanti filo-europeisti alla casa dei sindacati, che terminò in mattanza causando la morte di 42 persone (alcune bruciate vive, altre finite a sprangate dagli aggressori dopo essere saltati giù dalle finestre) tra cui una donna incinta.
Nello specifico i giudici hanno ritenuto il governo di Kiev responsabile per la mancanza di trasparenza e di imparzialità nelle indagini successive alla strage; per la complicità della polizia e soprattutto per non aver fatto “alcuno sforzo significativo per prevenire gli scontri” […] né per “garantire misure di soccorso tempestive per coloro che erano intrappolati nell’incendio”.
Nello specifico le parole dei giudici di Strasburgo pesano come macigni quando sottolineano che “la negligenza attribuibile ai funzionari e alle autorità statali nei casi in corso vada oltre un errore di giudizio o una disattenzione da parte dei singoli. Osservando passivamente i rappresentanti di un campo politico iniziare a uccidere quelli del campo opposto, la polizia non solo ha fallito nel suo obbligo di fermare la violenza, ma è anche diventata in parte responsabile della successiva violenza che ha causato più vittime, comprese le vittime degli incendi”.
























